Attenzione, questo post è altamente autoreferenziale. Praticamente racconta, o ci prova, mesi di chiacchere, di incontri e di post su altri blog e social network in genere. E certo, mi coinvolge, visto che mi sono trovato a vivere alcuni di quei momenti in prima persona.
Ma capisco certamente possano non interessare. Ci mancherebbe.
Per essere chiari: non so dire con certezza come sia iniziato tutto questo. E neanche pretendo di riuscire a sintetizzare correttamente quello che può essere successo e che coinvolge decine di persone.
Sicuramente, e questo è un fatto, il merito è dei produttori protagonisti. E dei loro vini. Poi, dopo, viene quello che riguarda l’internet, i blog, il seguente interesse. La cosiddetta viralità. Solo dopo, però.
Ho scritto viralità, o enoviralità, visto l’argomento. Che praticamente è quando un po’ di persone si interessano ad un prodotto. E cominciano a parlarne ed a scriverne. Ad investire parte del loro tempo per fare in modo che tale prodotto venga conosciuto da altri. Si creano delle conversazioni intorno alla questione ed ecco che con il passare del tempo da pochi ci si trova magicamente in tanti.
E’ così che il mercato sta cambiando, è così che le relazioni tra le persone stanno diventando cruciali per il mercato.
Ora, chi si occupa di prodotti reali, e della loro promozione reale, si trova di fronte alla necessità che tutto quello che possa venire detto su un prodotto sia quantomeno sincero, reale, non artefatto. Ed è forse la cosa più dificile.
Ecco, la grandezza, e mi riferisco a quello che è successo fino ad ora, è tutta qui. Che nessuno aveva interessi commerciali nell’incontrarsi a parlare del vino più povero che ci sia. Anzi. Alla base di tutto c’è passione, divertimento, voglia di stare insieme.
Si, ok, ma di cosa sto parlando?
Il Lambrusco è un mondo vastissimo. Le denominazioni di origine sono più di una. I produttori innumerevoli. Le versioni sugli scaffali dei supermercati diverse tra di loro. E’ un mondo difficile da fotografare, almeno per me.
Una cosa, però, è certa. Moltissime bottiglie, ed in generale il nome del Lambrusco, vengono identificate come vini poveri, semplici, sempre frizzantini ed economici. “No, il Lambrusco no, non mi piace“. L’ultima volta che ho sentito questa frase era di un amico modenese, per dire.
Invece, ed è stata una scoperta anche per il sottoscritto, ci sono alcuni produttori che imbottigliano vini fatti di profondità e complessità, che non sono affatto scontati, che spesso sono dei Quasi-Lambruschi, proprio perchè così diversi dalle centinaia di migliaia di bottiglie precedentemente citate. O, addirittura, dei Non-Lambruschi, vini completamente fuori dagli schemi comunemente conosciuti. Vini che spesso vedono altri vitigni protagonisti. Insomma, cose diverse.
C’è un problema, però. Se nessuno ne avesse scritto difficilmente avrei anche solo immaginato questo piccolo mondo fatto di sovversisi del gusto. Si, ok, avevo sentito nominare Camillo Donati e le sue rifermentazioni in bottiglia. Ma personalmente mi fermavo lì.
Per fortuna allora che Stefano Caffarri, su Appunti digòla, stuzzicato dall’enciclopedico gourmet Vittorio Rusinà, la scorsa estate abbia cominciato ad interessarsi alla questione, scrivendo di Barbaterre prima, di Cinque Campi poi.
E non è una questione solo di blog. Anche se spesso questo o quel post possono dare il via a discussioni davvero interessanti, anche altrove. Magari su Facebook, o su Twitter e FriendFeed.
E non è neanche una questione di volontà collettiva. Cioè, nessuno ha ricominciato a lavorare, a settembre, pensando di concentrare i propri sforzi per promuovere dei produttori sconosciuti ai più. Son cose che vengono da sole.
Spesso è questione, anche, di casualità.
Mi ricordo però di una cena in Acetaia San Giacomo, organizzata online, e della curiosità che alcune bottiglie avevano suscitato nei presenti (per inciso, poi, è questo il bello, i Non-Lambruschi non lasciano indifferenti, mai).
Naturale che il passo successivo, viste le neonate amicizie, fosse quello di rivedersi offline. Dal digitale all’analogico, praticamente. E quale migliore occasione se non assaggiare, di nuovo, ma meglio, quelle bottiglie che erano rimaste così distintamente stampate nelle memorie dei presenti (e scriverne, dopo).
Eccola, l’enoviralità.
E se è vero che niente succede per niente, è anche vero che non sarebbe stato possibile se non grazie all’enorme sforzo organizzativo di Alessandro Setti, che ha creato un primo introduttivo incontro a Carpi ed un secondo, più articolato e complesso, con solo lambruschi reggiani ed un produttore presente, vicino Novellara.
Eccole quindi, alcune persone che parlanoscrivonodiffondono un vino. Anzi, in questo caso l’idea di un vino.
Ma la Nouvelle Vague dei Lambruschi, è chiaro, non è cosa nuova, è solo che noi ce ne siamo accorti solo adesso. Camillo Donati, Le Barbaterre, Cinque Campi, Ca’ de Noci, Storchi, Bellei -e ne sto certamente dimenticando qualcuno- sono produttori che hanno scelto di intraprendere una strada diversa. Una strada avventurosa, sicuramente nuova. E, a prescindere da tutte le altre valutazioni, solo per questo meriterebbero un applauso.
Applauso !
Mi auguro che tutto questo possa portare piano piano a riconoscere la qualità dei prodotti enoici della nostra terra e di tanti piccoli produttori che con continui sforzi percorrono la strada del vino fatto in vigna e non in cantina.
Grazie Jacopo per aver sintetizzato alla perfezione quanto successo fin qui..
Un abbraccio
Grazie per aver scritto la storia della genesi della Novelle Vague dei Lambruschi, a monte di tutto vi è l’intuizione della qualità di alcuni lambruschi di Andrea Bezzecchi uomo totalmente innamorato della terra in cui vive, il Reggiano, e dei prodotti che questa terra produce. Andrea ebbe l’ardire a parlarne anche a un piemontese doc come me (orgoglioso dei suoi barbera, nebbioli…) ma aperto e curioso alle realtà di altre zone.
Ricordo la cena in Acetaia da Andrea, con tutti i big come te, Stefano, Filippo, Alessandro, Sara, Davide seduti in un tavolo al fondo ad assaggiare lambruschi…tremavo al pensiero che poteste trovarli non interessanti, poteste ignorarli…e invece…eccoci qua ad affrontare a breve la terza giornata dedicata a questo semplice ma affascinante vino in una cornice di grande fascino come è la Franciacorta.
E’ una storia di intuizione, di flessibilità, di amicizia…è un viaggio.
Mhh, non attraverso il miglior momento della mia vita (tantevvero che non so ancora se sarò presente in Franciacorta) ma leggo sempre con piacere le tue attente analisi: da applausi, pero’, la frase “dal digitale all’analogico” 🙂
Iperbellissimimamente Bellissimo. Ciao Massimo
Grazie Jacopo per questo “resume”, ce n’era bisogno.
Credo anch’io come dice Vittorio che molto si debba anche al mitico Bez e all’amore per la sua terra che è palese ogni volta che lo incontri, così come la sua giovialità e il suo darsi completamente quando fa qualcosa che poi è quello che accade quando si crede veramente nelle cose. Non solo a lui ovviamente. Sono stato felice di aver partecipato alla bellissima twitter dinner in acetaia (che spero diventi un appuntamento fisso) così come di incontrare di persona un po’ della novuelle vague al Rigoletto. La cosa più vera che dici che poi è il succo del c.d. 2.0 è appunto fare le cose per passione senza avere (o mettendoli assolutamente in secondo piano) interessi secondari. Il resto, di solito, viene da sé proprio perché la sincerità, la complicità e l’energia positiva che si sprigiona in queste situazioni resta poi a lungo (se non per sempre) continuando a produrre i suoi effetti e in più direzioni.
Fil.
Ti ringrazio per il bel punto della situazione e ringrazio anche Vit e Fil per i graditissimi complimenti.
Effettivamente penso che il giorno che portai i lambruschi di Cà de Noci e Camillo Donati alla serata Slow Food da Eataly – 2 anni fa – rimarrà negli annali e lo pongo, personalmente, come punto d’inizio di questo percorso virtuoso che ci ha portato fino qui (alla faccia dell’autoreferenzialità :-))
Rimarrà negli annali soprattutto perchè convincere i due produttori a dare il prodotto per una serata da “quelli-di-slow-food”, è stata un’impresa titanica 🙂
E’ stata dura anche spiegare alla ragazza sommelier presente tra gli ospiti della serata che no, il Sottobosco di Giovanni Masini, non sa “di chimica” al naso.
Piccola postilla rispetto al modus operandi citato da Filippo: lo spendersi senza riserve.
Penso sia triste vederlo legato solo al mondo 2.0. Non c’è alternativa, deve essere la chiave di lettura di ogni nostra azione, altrimenti siamo fritti 🙂
frizzantemente vostro
bez
Insomma, tutto ciò è bello perchè finora è stato fatto da tutti per passione,
Si Andrea, certamente anche perché non vi è distinzione poi tra il nostro io on e il nostro io offline. Penso che lottare per i propri sogni, per vederli realizzati intendo, giorno dopo giorno, sia il reale scopo della vita. Farlo sinceramente e nel rispetto degli altri è quello che fa la differenza reale, è ciò che misura la statura delle persone. Per realizzare sogni, per essere felici, occorre spendersi integralmente. Sono talmente d’accordo che ne ho praticamente fatto una regola di vita.
Fil.
Condivido (pressochè) tutto. Ma (s’il vous plait) un po’ di Parma non starebbe male. In fondo anche qui tra terreni poco vocati talvolta compaiono piccoli miracoli.
Ciao Roberto, Camillo Donati è parmense!
Si Jacopo…. Lo so che Donati è parmense DOC come il suo Maestri… parmense ed europeo per grazia. Ma voi non lo dite FORTE… e a me di queste terre che sanno di fanga e di rosmarino piace che qualcuno lo dica….
(battuta on)
Roberto, sono reggiano e sentire un parmense che si lamenta perchè “Parma” non ha avuto abbastanza visibilità, è come sentire uno che ha vinto a ping pong 11 a 1 e lamentarsi perche’ non ha fatto cappotto 😉
(battuta off)
Caro Jacopo che dire… hai ragione … ma in parte! Intanto: personalmente sono un parmigiano (non parmense) nato di là dall’acqua (per i non parmigiani: l’Oltretorrente, la zona di quelli che il lambrusco lo bevevano nelle scodelle e se ti macchiavi erano cavoli acidi) che non sopporta i parmigiani! Volevo un po’ di gloria sincera, non di quelle costruite sui libri, sulle guide, su millanta porcherie magari con etichette verdiane per dargli un po’ di gloria facilona. Per questo nelle mie osservazioni c’era un po’ di bonaria ironia verso questa Parma un po’…. vedi tu.